venerdì 22 novembre 2013

Settore immobiliare, l’ora del disarmo -opinione.it

L’economia nazionale è in crisi e il settore immobiliare non fa eccezione. Periodicamente qualcuno ricorda, in base all’esperienza del dopoguerra che, in precedenza, il settore ha svolto funzione di traino dell’economia, ma non seguono proposte, né iniziative, e il mercato continua ad essere contrassegnato dalla presenza asfittica di operatori, magari finanziariamente e patrimonialmente dotati che, tuttavia, non hanno visione e non progettano le modalità di sviluppo del mercato prossimo venturo.
Il Paese è stato preda, in passato, di operazioni avventurose che hanno sfregiato città (Roma è tra queste) e territori, hanno arricchito operatori meritevoli, così come operatori di dubbia capacità (oltre ad esponenti della politica), in misura spropositata, e hanno viziato il mercato contribuendo all’aggravamento della crisi generale dell’economia. Il presidente di Confedilizia ha lamentato, di recente, che l’attuale stato di crisi del settore sia da imputare all’eccesso di balzelli imposti dall’erario su prime e seconde case a disposizione della proprietà. L’imposizione fiscale sulla casa, che contribuisce al benessere della persona ed è scelta di investimento alternativa ai titoli mobiliari, costituisce certamente una remora alle prospettive di consolidamento di un patrimonio familiare.
Tuttavia, anche altri fattori alterano il funzionamento del mercato immobiliare, non solo residenziale. Lo strumento del franchising immobiliare, prezioso in un mercato funzionante, è divenuto agente delle disfunzioni di settore. Modalità di distribuzione di competenze e servizi mediante rapporti ad ampia diffusione territoriale, nazionale o pluriregionale, costituiti tra due imprese, l’una denominata franchisor, di maggiori dimensioni, depositaria di capacità ed esperienze attestate da un marchio di settore riconosciuto dai consumatori, l’altra denominata franchisee, di minori dimensioni, spesso piccole o minime, affidataria del marchio, interprete, tuttavia, delle esigenze del territorio di appartenenza, collettrice della domanda immobiliare locale sul presupposto della credibilità del marchio, motivano il rapporto.
Il franchising ha origine anglosassone, si è inizialmente affermato in Italia come rapporto giuridico-economico riconosciuto dalla giurisprudenza e in seguito è stato disciplinato dalla legge. In Italia i marchi del franchising immobiliare riconosciuti dai consumatori sono stati finora sostanzialmente tre. Di questi, due hanno subito i contraccolpi di disaccorte gestioni dei gruppi di appartenenza, ma uno si sta riprendendo con un nuovo controllo e segnala vivacità operativa. Il terzo gode ancora complessivamente di buona salute, è diffuso sull’intero territorio nazionale, ma avverte le conseguenze di un mercato la cui offerta di edilizia abitativa e commerciale si è dimostrata esuberante sulla domanda, in contrazione da vari anni, con prospettive di ripresa a medio-lungo termine.
Ne è seguito un significativo invenduto, che deprime il mercato e la capacità di resistenza dei vari protagonisti. La pratica corrente del franchising immobiliare, tuttavia, non è l’unico fattore di disfunzione del settore, che soffre anche di assenza di visione e di carenza sia di analisi, che di progettualità. Il recente rapporto del Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio (Cresme) conferma che il settore richiede una profonda “riflessione strutturale” sulle dimensioni e sulle prospettive del mercato.
Posto che la ripresa delle transazioni non riguarderà uniformemente il territorio nazionale, ma sarà una ripresa guidata dalla vivacità dell’economia locale, la capacità di lettura del mercato e le previsioni di intervento saranno influenzate dallo sviluppo delle attività di impresa, che, a sua volta, è determinato dall’equilibrio delle funzioni pubbliche e private di progettazione e di pronta esecuzione delle idonee infrastrutture materiali e immateriali. Non c’è crescita senza risorse finanziarie, know-how, trasporto, stoccaggio, informazione, comunicazione, tutela dei diritti. L’imprenditore piemontese amico di Einaudi, molto attento alle esigenze di sviluppo del territorio, chiese meno tasse, una strada e laissez faire. Tutto il contrario della più recente esperienza italiana, che testimonia del pregiudizio alla crescita provocato dai grovigli di veti e interessi particolari, anche poco nobili.
È quindi richiesto un nuovo modello di franchising, consistente di capacità previsionali politico-economiche e di competenze giuridico-economiche, tipiche di organizzazioni integrate, idonee a interpretare le esigenze del territorio e a fornire risposte adeguate, sia per il prodotto che per le modalità di proposta e di fornitura. Il mercato delle opere pubbliche dovrà registrare un riposizionamento del project financing, avvilito e arretrato anche a seguito di non poche esperienze negative territoriali che hanno compromesso l’adozione del pur utilissimo strumento. Il project financing richiede infatti la condivisione dell’analisi di fattibilità da parte di tutti i protagonisti e la credibilità dell’imprenditore in ambiente finanziario o bancario.
Non sembra che i marchi di franchising più noti siano tutti in grado di soddisfare questi requisiti e quindi si profila un mercato di grande interesse per un nuovo protagonista, che abbia le capacità segnalate e le proponga, avvalendosi di un’organizzazione adeguata, su tutto il territorio nazionale, in seguito ad un breve periodo sperimentale. Alcune regioni di Italia si prestano particolarmente per la sperimentazione.

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